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Il Design Thinking non riguarda solo la sfera creativa dei designer, tutti i grandi innovatori nel mondo della letteratura, dell’arte, della musica, della scienza, dell’ingegneria e del business lo hanno usato.
E allora, perché si chiama Design Thinking?
Quello che c’è di speciale nel Design Thinking è che il processo utilizzato dai designer per progettare può aiutare tutti ad avere un metodo per risolvere i problemi in modo creativo e innovativo in tutti gli ambiti della vita.
Alcuni dei brand più importanti del mondo come Apple, Google, Samsung e GE hanno adottato subito l’approccio del Design Thinking, e le maggiori università hanno cominciato a fare corsi e ad applicarlo in più ambiti disciplinari. L’università di Stanford ha anche creato un corso sul Life Design, che altro non è che l’applicazione del Design Thinking alla propria vita. È stato scritto anche un libro molto interessante “Design your life” dai due professori del corso che consiglio calorosamente.
Che cosa è il Design Thinking?
È un processo interattivo nel quale cerchiamo di capire l’audience, gli obiettivi e i limiti del progetto secondo un punto di vista differente per trovare delle strategie e delle soluzioni a cui inizialmente non avevamo pensato.
Questo è il punto forte del metodo: fa cambiare il punto di vista, dimenticando quella che è la soluzione a cui avevamo inizialmente pensato. Non ci sono soluzioni ad inizio progetto, c’è un metodo da seguire che in ogni fase pian piano guida ad una soluzione nuova e innovativa.
Facciamo un esempio. Spesso capita di sentire dei clienti che vogliono un ecommerce. In realtà il loro obiettivo non è avere un ecommerce, è vendere di più e l’ecommerce è la soluzione più ovvia a cui sono arrivati.
Con il Design Thinking la soluzione iniziale viene scartata, o meglio viene messa da parte, e vengono ricercate almeno altre due soluzioni completamene differenti per ottenere l’obiettivo. Si analizza l’audience, si fa brainstorming di idee, si studia la fattibilità e si testano attraverso prototipi veloci le soluzioni alternative trovate.
Viene definita una metodologia ma in realtà è un mindset diverso che una volta fatto proprio può essere applicato a tutto.
È un approccio che ruota intorno a un profondo interesse verso le persone per cui progettiamo un prodotto o un servizio. Ci aiuta a creare empatia verso la nostra audience, partendo dai loro desideri e obiettivi e cercando di trovare delle idee che li soddisfano e non delle soluzioni preconfezionate decise in qualche riunione.
È facile intuire come le soluzioni che spesso vengono trovate a priori sono frutto di processi decisionali standard e questo porta a soluzioni già viste. Partire senza nessuna idea e crearla man mano che si procede, focalizzandoci di volta in volta sull’obiettivo della fase porta a trovare nuove idee innovative.
Le fasi del Design Thinking
Ci sono molte varianti del Design Thinking utilizzate oggi che variano proponendo da 3 a 7 fasi, comunque tutte sono molto simili, alcuni accorpano in una unica fase analisi che in altri vengono suddivise in più step.
Noi oggi ci focalizziamo sulla variante a 5 step che è quella scelta dall’Institute of Design di Stanford. Le 5 fasi sono:
Empathise – con la tua audience
Define – i bisogni degli utenti e i loro problemi
Ideate – nuove soluzioni senza pensare ai vincoli esistenti
Prototype – le idee che convincono maggiormente e che sono sia fattibili sia in linea con i kpi aziedali
Test – le soluzioni
Queste tre fasi non devono essere per forza sequenziali. Spesso le prime fasi sono in parallelo e la fase di Prototype e Test può portare a scartare delle soluzioni e quindi a riprendere idee create nella fase Ideate inizialmente scartate.
Oggi questa è la tecnologia più usata perché è quella meno costosa dal punto di vista della progettazione. Esistono sistemi di gestione del riposizionamento dei contenuti che permettono di cambiare il layout molto velocemente in più la fluidità del contenuto garantisce una buona visualizzazione delle informazioni su quasi tutti i monitor e risoluzioni.
Un nuovo modo di pensare
Spesso il modo più semplice per capire qualcosa di intangibile come il Design Thinking è di capire quello che non è.
Gli esseri umani spesso sviluppano processi di pensiero modellati su attività ripetitive. Questo ci aiuta a applicare le stesse azioni e conoscenze in situazioni familiari e ripetitive, ma se da un lato questo atteggiamento ci fa risparmiare del tempo, in alcune occasioni non ci permette di vedere le cose secondo un diverso punto di vista, e risolvere i problemi con soluzioni differenti.
Questi modi di pensare si riferiscono spesso a schemi, che sono un set di informazioni organizzati secondo una relazione e una sequenzialità di processi che partano da reazioni a stimoli esterni. Quando si percepisce lo stimolo allora si attiva il processo e parte lo schema. Dato che lo schema è una reazione automatica ad uno stimolo, questo può bloccare una visualizzazione della situazione in modo oggettivo e non ci fa pensare a soluzioni alternative e diverse rispetto allo schema prestabilito.
Il Design Thinking ci aiuta a pensar fuori da questo schema e infatti spesso il pensiero innovativo è anche chiamato come “thinking outside of the box”.
Thinking outside of the box
Come abbiamo detto pensare fuori dagli schemi vuol dire sviluppare un modo di pensare diverso dal solito.
Alla base del Design Thinking c’è l’intenzione di migliorare i prodotti o servizi e capire come veramente gli utenti interagiscono e in che modo li usano. Per fare questo è molto importante fare le giuste domande. Chiedendo alle persone come si sentono, quali sono i loro stati d’animo e i loro timori è più facile pensare a soluzioni appropriate che rispondono a questi bisogni.
Il Design Thinking ci offre un metodo che ci permette di seguire un percorso alternativo al nostro solito schema.
Don Norman, luminare della user experience, spiega cosa è il Design Thinking e perché è speciale:
“…the more I pondered the nature of design and reflected on my recent encounters with engineers, business people and others who blindly solved the problems they thought they were facing without question or further study, I realized that these people could benefit from a good dose of design thinking. Designers have developed a number of techniques to avoid being captured by too facile a solution. They take the original problem as a suggestion, not as a final statement, then think broadly about what the real issues underlying this problem statement might really be (for example by using the “Five Whys” approach to get at root causes). Most important of all, is that the process is iterative and expansive. Designers resist the temptation to jump immediately to a solution to the stated problem. Instead, they first spend time determining what the basic, fundamental (root) issue is that needs to be addressed. They don’t try to search for a solution until they have determined the real problem, and even then, instead of solving that problem, they stop to consider a wide range of potential solutions. Only then will they finally converge upon their proposal. This process is called “Design Thinking.”
Reference e dove imparare di più
Interaction foundation. Corso – Design Thinking
http://www.designkit.org/methods
IDEO U | What is Design Thinking?
Intervista a David Kelley
https://www.ideo.com/people/david-kelley