Oggi si parla molto di customer experience e di progettazione mobile first, ma il giusto approccio è quello di pensare a esperienze basate sugli obiettivi (task-oriented design) che coinvolgono più device, perché questa è la realtà in cui viviamo. Facciamo un po’ di chiarezza.
Negli anni ’80 è cominciata l’onda del Personal Computer, il sogno di Bill Gates era quello di portare il computer nelle case di tutti. Questo sogno si è realizzato quando i computer sono diventati sempre più piccoli ed è diminuito il costo per produrli.
Venti anni dopo la situazione è molto cambiata. Oggi possiamo dire tranquillamente che ogni persona possiede o usa almeno una volta al giorno, un computer (desktop o notebook), forse un tablet, sicuramente uno smartphone, utilizzando servizi e applicazioni digitali anche da oggetti che non sono computer, come Alexa e gli smartwatch.
Cosa vuol dire questo per la UX?
Come possiamo disegnare customer experience che comprendono questa varietà di mezzi e interfacce in modo da renderle positive e coinvolgenti?
Mark Weiser, ricercatore senior allo Xerox Park e considerato da molti il padre dell’Ubiquitous Computing, disse nel 1994 che il futuro sarebbe stato dominato dalla presenza onnipresente dei computer. Contrariamente al modello del personal computer, dove ogni persona possiede un computer, il modello Ubiquitous Computing (onnipresenza dei computer) è un modello dove ogni persona possiede molti device.
La profezia è diventa realtà.
Oggi non solo quasi tutti hanno uno smartphone ma anche la domotica sta diventando sempre più presente nelle nostre case, attraverso luci smart, termostati e strumenti come Alexa o Google Home.
Per gli UX designer, è fondamentale capire e tenere presente questa onnipresenza dei computer per disegnare customer experience efficaci. Analizzare quali device possono essere utilizzati durante le tappe della customer journey e come migliorare ogni singolo momento è molto importante e lo sta diventando sempre di più.
Il percorso di acquisizione e mantenimento di un cliente passa attraverso vari momenti e analizzare attraverso quali device viene fruito il servizio (o l’informazione) permette ai designer di creare customer experience che siano seamless.
Per far questo è molto importante spostare l’attenzione dal device alla sua funzione. Questo perché non si tratta solo della dimensione di uno schermo ma soprattutto della modalità con cui si interagisce e del contesto in cui si usa.
Uwe Hansmann mel suo libro “Pervasive Computing: The mobile world” (2003) offre un insight molto interessante che riassume le tipologie di computer legate alla loro funzione.
Tanti device per tante funzioni.
SERVER: sono utilizzati per archiviare grosse quantità di informazioni e dati, pensiamo ad esempio a Dropbox o Google Drive.
Questi non sono accessibili direttamente dalle persone ma possono essere parte della customer experience, perché sono il punto di partenza di informazioni che vengono fruite durante le customer journey.
WORKSTATION: sono i device come i desktop e i laptop. Le persone usano questi strumenti per sessioni di lunga durata, che partano da un qualche minuto a molte ore.
Hanno degli schermi grandi e degli strumenti come il mouse e la tastiera che servono per inserire informazioni. Sono usati per lo più per editare e modificare informazioni o svolgere quelle azioni che riguardano task impegnativi.
MOBILE DEVICE: sono i tablet, gli smartphone o altri strumenti come il fitness tracker.
Sono principalmente usati per accedere a informazioni che si trovano nei server o nelle workstation, o per creare loro stessi delle informazioni che possono essere caricati sui server (ad esempio le foto caricate sui servizi cloud). L’interazione con questi device è solitamente attraverso sessioni brevi, da alcuni secondi a qualche minuto e spesso in mobilità.
Ci si trova spesso a usare le workstation per compiti lavorativi, come scrivere un articolo, o per ricerche per acquisti impegnativi, come una macchina, per cui le informazioni da visionare sono molte e spesso si aprono più finestre del browser per confrontare prezzi e caratteristiche.
D’altra parte è raro consultare il proprio profilo Facebook sulle workstation, anche per un senso di privacy. Per curiosare e vedere se ci sono nuovi messaggi è più veloce prendere lo smartphone o il tablet. E per memorizzare un’attività sportiva? Si utilizza lo smartwatch o il fitness tracker.
Quindi nella customer journey non bisogna solo capire cosa le persone vogliono fare (e le sue motivazioni) ma anche quale device sono disponibili e offrono una migliore customer experience.
Task-oriented design
Da qui nasce il TASK-ORIENTED DESIGN, che non è una metodologia definita ma è un approccio allo sviluppo di ecosistemi che pongono un focus molto importante a quali sono gli obiettivi che le persone hanno bisogno di portare a termine interagendo con i device, e quindi progettare gli ecosistemi dove in ogni momento viene analizzato e studiato in base all’analisi dei task.
Questo studio è molto importante anche per capire se l’utilizzo di interfacce responsive è appropriato in tutte le situazioni oppure in alcuni step della customer journey è opportuno passare ad una soluzione più orientata alla progettazione diversificata a seconda delle risoluzioni.
Si pensi ad esempio alle login. Oggi l’utilizzo del responsive permette di impaginare le text area in modo da rendere l’inserimento dei dati abbastanza fruibile. Sappiamo tutti però che le persone odiano inserire i dati da smartphone quindi si potrebbe pensare di sostituire le text area della login con un’altra forma di riconoscimento come l’impronta o lo scanner facciale.
Questa è una delle possibile soluzioni ma ponendo più attenzione ad una progettazione che sia task oriented è possibile concentrarsi sui singoli step del progetto digitale che non va visto come un unico elemento ma come un insieme di task che vanno studiati e per cui bisogna creare le migliori customer experience.
Reference e dove imparare di più
Interaction foundation. Corso – Mobile User Experience Design