Negli ultimi anni, l’Intelligenza Artificiale ha trasformato profondamente il nostro modo di progettare esperienze digitali.
Ma cosa cambia, davvero, per chi si occupa di conversational design?
Non è solo una questione di strumenti: è un salto di paradigma che tocca il linguaggio, l’intenzionalità, il contesto e la relazione tra utente e tecnologia.
In questo articolo esploriamo perché il conversational design non può più essere pensato senza l’AI, e come evolvono ruoli, competenze e responsabilità in questo nuovo scenario.
Dai bot agli assistenti: una questione di consapevolezza
I primi chatbot erano semplici automazioni: rispondevano a regole predefinite, spesso rigide e frustranti.
Con l’arrivo dei modelli di linguaggio avanzati (LLM), nasce una nuova categoria di entità conversazionali: gli assistenti intelligenti.
Questi strumenti sono capaci di:
- comprendere linguaggio naturale con flessibilità,
- adattarsi al tono dell’utente,
- rispondere in modo più umano,
- gestire contesti anche complessi.
Il conversational design passa così dal progettare flussi statici a creare cornici dinamiche in cui l’AI può operare, restando coerente e utile.
L’era degli agenti: quando l’AI agisce (non solo parla)
Nel 2025 parliamo sempre più spesso di AI agent: sistemi conversazionali capaci non solo di dialogare, ma anche di agire autonomamente per conto dell’utente.
Un agente:
- può navigare database, prenotare servizi, eseguire task complessi,
- si muove in ambienti digitali anche esterni alla conversazione,
- apprende e si adatta in base all’interazione.
Per il designer, questo significa progettare non solo parole, ma anche comportamenti.
Il conversational design si avvicina sempre di più al service design, alla progettazione di esperienze orchestrate.
Personalizzazione e contesto: la conversazione non è più universale
Con l’AI, le interfacce conversazionali diventano personalizzate per ogni utente.
Non parliamo più con un bot “neutro”, ma con un assistente che conosce il nostro contesto, la nostra cronologia, le nostre preferenze.
Questo introduce nuove sfide di design:
- Come si progetta un tono di voce che cambia in base alla persona?
- Fino a che punto si può personalizzare senza perdere coerenza?
- Quali informazioni è giusto usare, e come gestire la privacy?
Il conversational design deve ora considerare non solo l’esperienza, ma anche l’etica e la trasparenza della conversazione.
Il training come parte del design
Un altro cambio fondamentale: il design non finisce con la scrittura dei dialoghi.
Con l’AI generativa, la fase di training (addestramento del modello) è parte integrante del processo:
- si definiscono prompt, intent, restrizioni e esempi,
- si alimentano i modelli con conoscenza contestuale e dati di qualità,
- si monitorano le risposte e si correggono comportamenti indesiderati.
Il conversational designer diventa anche un curatore di conoscenza, un facilitatore tra contenuto e tecnologia.
Ruoli e competenze: cosa deve saper fare un designer oggi?
Il conversational design AI-driven è un terreno ibrido, in cui convivono:
- UX writing conversazionale,
- progettazione di interfacce invisibili,
- architettura dei dati,
- collaborazione con team AI e engineering.
Non si lavora più “in isolamento”, ma all’interno di sistemi dinamici, dove ogni parola può attivare un comportamento, e ogni comportamento può generare una risposta.
Chi progetta queste esperienze deve quindi:
- documentare decisioni e garantire tracciabilità.
- pensare in modo modulare e adattivo,
- conoscere i limiti (e i bias) dei modelli generativi,
Conversational design, AI e accessibilità: una grande responsabilità
Con l’AI, le opportunità per l’accessibilità si moltiplicano:
- conversazioni vocali che supportano persone ipovedenti o analfabete digitali,
- interazioni naturali che riducono barriere cognitive,
- sistemi proattivi che anticipano i bisogni dell’utente.
Ma anche i rischi aumentano:
- risposte imprecise o non verificabili,
- linguaggio discriminatorio o troppo complesso,
- comportamenti opachi e non spiegabili.
Per questo, il conversational design AI-based deve integrare fin dall’inizio principi di design etico, inclusivo e responsabile.
Checklist: progettare conversazioni AI-ready
Vuoi progettare esperienze conversazionali con l’AI? Ecco da dove partire:
- Documenta tutto: decisioni, prompt, fonti, revisioni
- Pensa per sistemi, non solo per dialoghi
- Definisci ruolo e limiti dell’assistente (o agente)
- Cura la conoscenza che alimenta il modello
- Scrivi prompt e risposte con attenzione al contesto
- Prevedi fallback e recovery (l’AI può sbagliare!)
- Monitora e migliora costantemente il comportamento
- Coinvolgi utenti reali, anche con disabilità, nei test
Conclusione: il futuro della UX è conversazionale (e intelligente)
L’AI ha cambiato il modo in cui progettiamo esperienze.
Ma non ha cancellato il bisogno di design: lo ha reso ancora più centrale.
Il conversational design non è più scrivere due righe per un bot, ma orchestrare relazioni, azioni, linguaggio e responsabilità.
È UX per un mondo dove interfaccia e intelligenza coincidono.