Il conversational design è una delle discipline emergenti più interessanti nel panorama digitale contemporaneo.
Nato come approccio per progettare chatbot e assistenti virtuali, oggi si espande ben oltre i confini della messaggistica per diventare un elemento chiave nell’interazione tra umani e tecnologie intelligenti.
Ma quanto sono accessibili queste conversazioni? Chi può davvero usarle senza barriere? E perché l’accessibilità dovrebbe essere parte integrante di ogni progetto conversazionale, fin dalle prime fasi?
In questo articolo esploriamo cos’è il conversational design, a cosa serve, e perché va pensato per tutti, non solo per gli utenti ideali.
Che cos’è davvero il conversational design
Il conversational design – o progettazione conversazionale – è l’insieme di strategie, tecniche e strumenti usati per costruire dialoghi efficaci tra persone e sistemi digitali: chatbot, voicebot, assistenti vocali, agenti AI e ogni altra interfaccia che “parla” con l’utente.
Non si tratta solo di scrivere le frasi che un bot dirà.
Il conversational designer si occupa di:
- comprendere l’obiettivo dell’utente
- progettare percorsi guidati e logici
- anticipare ostacoli e fraintendimenti
- scegliere il tono giusto
- gestire errori e fallback
- creare esperienze coerenti con il brand
È una disciplina che fonde UX design, linguistica, scrittura, logica, psicologia, empatia e accessibilità. Non è solo design. È cultura del dialogo digitale.
A cosa serve (e perché è ovunque)
Il conversational design serve a trasformare l’interazione uomo-macchina in un dialogo naturale.
E quando funziona bene, riesce a semplificare, rassicurare, istruire e connettere.
Viene utilizzato in moltissimi ambiti:
- Customer care (risposte automatiche, gestione ticket, FAQ intelligenti)
- E-commerce (assistenza pre/post vendita, raccomandazioni prodotto)
- Sanità e salute mentale (monitoraggio, primo ascolto, triage conversazionale)
- Servizi pubblici e PA (info accessibili, semplificazione burocratica)
- Education e onboarding (tutorial guidati, spiegazioni interattive)
Con l’arrivo degli agenti AI, il conversational design si spinge verso interazioni più aperte e personalizzate. E diventa sempre più centrale per il successo dell’esperienza utente.
Perché l’accessibilità non può mancare
Spesso quando si parla di accessibilità si pensa solo a interfacce grafiche: bottoni leggibili, contrasti, screen reader.
Ma anche le interfacce conversazionali possono diventare barriere invisibili.
Un chatbot non accessibile può:
- parlare con linguaggio ambiguo o complesso
- usare solo riferimenti visivi (“clicca sull’icona”)
- non funzionare con screen reader
- non prevedere comandi da tastiera
- non dare alternative alle persone con disabilità cognitive
- generare ansia, confusione, frustrazione
Pensiamo solo a chi:
- ha una disabilità visiva e usa lettori vocali
- ha difficoltà di lettura o elaborazione linguistica
- è neurodivergente e ha bisogno di chiarezza e prevedibilità
- non ha dimestichezza con la tecnologia e si affida alla conversazione per orientarsi
Progettare conversazioni accessibili significa non escludere nessuno.
E se parliamo di customer care, servizi sanitari o supporto, l’accessibilità è una questione di diritti.
Conversazione = Interfaccia
In un’interfaccia conversazionale, il testo è l’interfaccia.
Non ci sono (quasi mai) layout complessi, icone o pulsanti. C’è solo il linguaggio.
Questo rende la progettazione ancora più delicata: la qualità e l’accessibilità del testo determinano il successo o il fallimento dell’interazione.
Applicare i principi delle WCAG (Web Content Accessibility Guidelines) al conversational design è fondamentale.
Come?
- Assicurandosi che ogni messaggio sia percepibile (anche da screen reader)
- Usando un linguaggio comprensibile
- Garantendo una navigazione coerente anche per chi usa tastiera o touch assistito
- Offrendo fallback, alternative, supporto contestuale
Errori comuni che creano barriere
Ecco alcuni esempi frequenti che rendono un’interfaccia conversazionale non accessibile:
- Linguaggio troppo informale o “giovane” che esclude chi non è nativo digitale
- Mancanza di alternative vocali o testuali per contenuti visivi
- Percorsi rigidi che non permettono deviazioni o domande aperte
- Nessuna gestione dell’errore (es. se scrivo qualcosa che il bot non capisce)
- Flussi pensati solo per smartphone, dimenticando le tastiere
L’accessibilità non è una feature da aggiungere dopo. È la base su cui costruire bene.
Checklist pratica: rendere accessibile un bot
Ecco una checklist per iniziare a progettare un’interfaccia conversazionale più inclusiva:
- Usa un linguaggio semplice, diretto, chiaro
- Evita ambiguità: ogni messaggio deve avere un solo significato
- Non usare riferimenti visivi senza spiegazione (es. “clicca l’icona blu”)
- Offri sempre un’alternativa o una via d’uscita (es. “vuoi parlare con un operatore?”)
- Testa con screen reader e tastiera: se non funziona, non è accessibile
- Scrivi per tutti: pensa anche a chi ha difficoltà di concentrazione, ansia o lentezza di elaborazione
Conclusione
Il conversational design è molto più che progettare chatbot. È costruire relazioni digitali attraverso il linguaggio.
E queste relazioni devono essere accessibili, comprensibili, aperte a tutte e tutti.
L’accessibilità conversazionale è ancora poco discussa, ma sarà sempre più cruciale man mano che interagiamo con intelligenze artificiali, agenti e interfacce vocali.
Se vogliamo davvero parlare con gli utenti, dobbiamo anche essere capaci di ascoltarli, comprenderli, accoglierli.
E questo si progetta, con competenze e con cura.