Martedì scorso ero a Parigi.
Una vacanza con la famiglia. Un regalo un po’ improvvisato, un po’ necessario — perché certe cose, ogni tanto, bisogna proprio farle.
Avevamo casa a un minuto dall’Apple Store sugli Champs-Élysées, e i miei figli — in modalità vacanza totale — non c’era verso di svegliarli prima delle 11. Se ci provavo, partiva un’ora di mugugni, insulti e peggio. Quindi… ho deciso di approfittarne.
Mi sono alzata presto, ho fatto colazione, ho guardato l’orologio e ho pensato: “Sai che c’è? Vado a provare il visore della Apple.”
Solo per curiosità, eh. Tanto in Italia ancora non c’è. E quando ti ritrovi a pochi passi da un’esperienza nuova, il minimo è provarci.
Appuntamento prenotato, mi presento al bellissimo Apple Store tutto vetri e luce.
Piccolo imprevisto: l’ascensore è rotto, e il ragazzo dell’accoglienza mi dice che mi toccherà fare le scale passando per zone normalmente chiuse al pubblico.
Perfetto. Visore e tour privato. La giornata stava iniziando per il verso giusto.
Salgo, arrivo al secondo piano, mi fanno sedere su un divanetto.
Il ragazzo che mi seguirà nella demo mi sorride e comincia con le istruzioni: sarà una sessione guidata di circa 30 minuti. Lui parlerà, io eseguirò.
E parte subito togliendomi un po’ di poesia:
“Qui non devi toccare. Qui nemmeno. Qui neanche pensarci.”
A quel punto, la mia idea del visore da 4000 euro che si mette e si toglie con la grazia di un paio di occhiali da sole è ufficialmente sfumata.
Lo indosso.
Ci vogliono almeno 5 minuti solo per calibrarlo sul mio sguardo.
Sì, perché la selezione non si fa con le mani, ma con gli occhi. Tu guardi una cosa, lui capisce cosa vuoi selezionare. E lo fai con un piccolo gesto.
All’inizio è straniante. Poi, passati dieci minuti, comincia a diventare fluido.
L’interazione è difficile perché è nuova, ma è studiata benissimo.
Una volta che capisci che devi solo guardare, evitare mille gesti, lasciarti guidare, tutto fila.
Bellissimo il momento in cui torni alla home: appare una bolla fluttuante solo alzando la mano.
E bellissimo anche vedere le icone come un livello trasparente davanti all’ambiente reale, come se vivessi tra due mondi che si sovrappongono.
Facciamo qualche test con le foto. Ovviamente quelle caricate per la demo sono perfette, iper-nitide.
Poi ci sono le immagini immersive.
E lì… arriva la nausea.
Non una nausea forte, ma quella leggera sensazione da “il mio cervello non sa più se sono seduta su un divanetto o in mezzo a un prato 3D”.
Le panoramiche sono bellissime.
Ma mi è bastato un secondo per immaginare le mie panoramiche:
quelle in cui mio figlio appare due volte perché si è mosso, o in cui Ren ha metà muso, o in cui il panorama è tremolante perché mi ero emozionata.
Diciamo che non farebbero lo stesso effetto cinematico della demo Apple.
Poi però arrivano i video immersivi, e lì… mi si stringe lo stomaco.
Perché è vero: ti sembra di essere lì.
Rivivi tutto. Lo sport, la natura, le persone.
E in un attimo mi vengono in mente tutte le cose che non ho filmato, tutte le persone che non ci sono più, il mio gatto morto dieci mesi fa, i compleanni dei bambini, i Natali in famiglia.
E mi sono detta:
“Peccato non aver avuto questa tecnologia prima. Pensa poterli rivivere davvero.”
Esco un po’ frastornata.
La demo è stata bellissima, davvero. Ma mi porto dietro un pensiero che mi pizzica dentro. Un misto di meraviglia e malinconia. Perché ho visto qualcosa di straordinario e ho pensato subito a tutte le cose che non ho mai catturato.
Torno a casa.
I miei figli si sono finalmente svegliati e, con entusiasmo, racconto loro tutto.
La loro risposta? “Eh ma se vuoi vedere un film insieme ci vogliono quattro visori.”
E lì mi parte un sorriso automatico.
Perché ho immaginato noi quattro sul divano, ognuno con un visore in testa, ognuno nel suo mondo…
E ho pensato a com’è invece veramente casa nostra:
un film visto stravaccati, con le gambe addosso, qualcuno che si addormenta a metà, commenti urlati su vestiti, attori, finali.
Poi, altra stilettata quando parlo dei video immersivi:
“Mamma, tu piangeresti per qualsiasi video. Lo romperesti subito.”
E avevano ragione anche lì.
E poi… la sera
Quella stessa sera, stavamo rientrando a casa.
Abbiamo allungato un po’ la strada e siamo passati per il Trocadéro.
Erano le 21:45. Ci siamo detti: “Aspettiamo l’illuminazione della Torre Eiffel.”
Ci siamo seduti sugli scalini, c’era un ragazzo con la chitarra.
Ha iniziato a suonare With or Without You degli U2. Una delle mie preferite.
E io… ho tirato fuori l’iPhone.
Ho fatto un video. Un video bruttino: la Torre tutta a stelline, voci di sottofondo, gente che passava davanti, qualità diciamo… discutibile.
Ma l’ho fatto lo stesso.
Per ricordarmi come stavo.
Perché in questi ultimi mesi ho vissuto in modalità sopravvivenza.
Trascinata da mille cose.
Ho dimenticato il presente.
Mi sono persa pezzi veri, semplici, vivi.
La verità è che…
Non serve un visore da 4000 euro per immortalare i momenti importanti.
Serve solo esserci. Con gli occhi, con la testa, con il cuore.
Sono le emozioni a registrare i ricordi, non i pixel.
A volte basta una canzone. O la voce di tuo figlio. O una passeggiata.
O sedersi a guardare la Torre Eiffel con le persone che ami.
E mi sono detta che sì, forse è meglio avere una TV vecchia, ma addormentarmi abbracciata ai miei figli sul divano.
Forse è meglio vivere un compleanno con gli occhi e il cuore, piuttosto che filmarlo per riguardarlo.
Perché il ricordo più vero non è quello che registri, ma quello che senti mentre lo vivi.
E quella sensazione… non ha bisogno di visori.
Ha bisogno solo di presenza.